Aspettative e inquietudini verso il mondo del lavoro sono un tema più centrale che mai, soprattutto tra i giovani, e questo è alimentato dalla rapidità dei cambiamenti di questo periodo storico. Ci sono però degli elementi di discontinuità rispetto al passato: non è solo il mercato del lavoro a stare cambiando, ma anche le priorità di chi sta entrando ora a farne parte.

Pur consapevoli di fare un’ampia generalizzazione, possiamo provare ad analizzare quali sono i temi principali attorno a cui ruotano questi cambiamenti.

Il primo elemento notevole è un pervasivo pessimismo, con i sondaggi che evidenziano soprattutto:

  • preoccupazione per le prospettive di crescita (con la retribuzione che fatica a stare al passo con il costo della vita e le dinamiche di carriera più lente che in passato). Dal punto di vista salariale, circa il 70% dei lavoratori riporta la convinzione di dare all’azienda più di quanto riceva, e oltre il 50% riporta di non vedere opportunità di carriera;
  • un sentimento di paura e incertezza verso il futuro (comprensibile, visto come il nuovo decennio ci ha messi di fronte allo spettro di guerre e nuove pandemie, mentre l’ansia climatica si intensifica e la globalizzazione e i sistemi capitalistici iniziano a mostrare seri segni di cedimento)

Questo porta molti a compiere scelte lavorative basate sulle prospettive a breve termine, e a mantenersi cauti e conservativi.

Il secondo punto (epicentro di uno dei grandi attriti generazionali della nostra epoca) è che il Lavoro inteso in senso concettuale sta perdendo il ruolo centrale (quasi di valore morale a sé stante) che detiene tra le priorità delle persone.

Possiamo solo provare a indovinare quali siano gli elementi alla radice di questo fenomeno, ma ecco alcuni spunti che emergono spesso dalle discussioni sul tema:

  • il Covid, con il ricorso accelerato al remote working, ha prodotto un ribilanciamento tra il valore del lavoro e quello degli altri aspetti della vita, oltre a lasciare l’aspettativa di conciliare con maggiore facilità le esigenze personali e familiari con quelle lavorative;
  • la reazione culturale collettiva di chi ha osservato il burnout di quei millennial e gen X plasmati dal culto dell’abnegazione carriera che è stato prevalente negli scorsi decenni;
  • la minore identificazione organizzativa, con le aziende che diventano entità sempre più distanti e perdono la capacità di suscitare un sentimento identitario e di appartenenza;
  • la crescente attenzione alla salute mentale, che contrasta con il tipo di cultura aziendale che ancora va per la maggiore.

A qualunque di questi fattori sia da imputarsi, rimane il fatto che a un potenziale lavoro, per essere considerato sostenibile, viene sempre più di frequente richiesto di permettere un ragionevole equilibrio con la vita privata.

Non sorprenderà nessuno che il terzo grande fattore dietro a questi cambiamenti sia l’accelerazione dello sviluppo tecnologico.

Fino a pochi anni fa ci si chiedeva quanto realistico fosse immaginare una diffusione così rapida delle nuove tecnologie, e adesso abbiamo la risposta. Di nuovo il decennio corrente è riuscito a stravolgere le aspettative, e soprattutto l’espansione vertiginosa delle intelligenze artificiali promette di lasciare un segno indelebile sul tessuto lavorativo. Le reazioni che si registrano sono ambivalenti: intensa fascinazione da una parte, diffidenza e perplessità etiche dall’altra.

In ultimo, emerge la preoccupazione data dalla necessità di “stare al passo” con le richieste in continua evoluzione del panorama lavorativo, attraversato da rapidissimi cambiamenti tecnologici e sociali. Viene percepita inadeguatezza dell’istruzione tradizionale, improntata sulla formazione verticale, mentre è sempre più evidente l’importanza di costruire professionalità ibride, con competenze trasversali e facilmente trasferibili tra settori diversi. Certo, la necessità di avere solide basi rimane invariata, quindi ciò che gli studenti stanno imparando oggi non diventerà improvvisamente inutile, ma è necessario in qualche modo adattarsi alla natura fluida delle future competenze tradizionali, e coltivare una mentalità orientata all’apprendimento continuo.

L’ultimo rapporto del World Economic Forum evidenzia che circa un quarto dei posti di lavoro sono destinati a cambiare entro i prossimi cinque anni, tra occupazioni che spariranno e nuovi ruoli che, al contrario, verranno creati. Si stima che entro il 2025 il 50% dei lavoratori avrà bisogno di reskilling, ovvero di sviluppare nuove competenze, in quanto quelle in loro possesso saranno divenute almeno in parte obsolete.

Per concludere, se c’è una lezione che dovremmo aver imparato negli ultimi anni è che non ci sono modelli predittivi o opinioni di esperti che tengano: possiamo pensare di sapere che aspetto avranno la società e il mercato del lavoro nel prossimo futuro, ma ci sono sempre eventi imprevisti che possono cambiare le carte in tavola, e dunque non c’è una vera risposta soddisfacente per i quesiti e le preoccupazioni con cui la nuova generazione di lavoratori si affaccia sul mercato.

Tutto ciò che si può fare è semplicemente mantenersi pronti ad adattarsi ai cambiamenti, sia come singoli che, per quanto riguarda aziende e istituzioni, sulle quali ricade la responsabilità di andare incontro il più possibile alle nuove necessità dei lavoratori del futuro.


Margherita Contò

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